LUNEDÌ 26 GIUGNO 2017 08:53

Benzina, gasolio o più raramente petrolio. Caricati nottetempo su imbarcazioni che non superano le 40mila tonnellate di stazza. Arrivano illegalmente dalle raffinerie libiche fino in Italia, al termine di un viaggio rocambolesco attraverso il Mediterraneo e dopo una triangolazione con Malta.

La loro porta d’ingresso nel nostro Paese è la Sicilia e poi, dall’isola, questi prodotti sono immessi nel circuito nazionale dei carburanti, contribuendo a destabilizzare un mercato che già subisce la concorrenza sleale dei trader che importano gasolio dai Paesi dell’Est, evadendo l’Iva e rivendendolo con forti sconti.

A gestire il contrabbando, sviluppatesi parallelamente ai traffici di esseri umani, armi e droga, sono gruppi armati e reti criminali che scorrazzano nella costa a Ovest di Tripoli. Un fenomeno in rapida crescita, che ha attirato l’attenzione dell’Aise, l’agenzia di intelligence per l’estero che ha il compito di vigilare su tutto quanto possa turbare la sicurezza nazionale. L’obiettivo principale dei nostri servizi è controllare che la Libia non si trasformi in un paradiso per jihadisti.

Il Paese, infatti, importa guerriglieri dalle aree limitrofe: il 95 per cento di coloro che vanno a combattere per l’Isis arriva da nazioni quali Tunisia, Algeria, Marocco, Mali, Nigeria, Sudan. Ma oltre alla missione prioritaria una particolare attenzione è posta sulle conseguenze del contrabbando petrolifero. Il portale di notizie Middle East Eye ha ad esempio segnalato, riportando fonti anonime, l’esistenza di un patto tra milizie locali e famiglie mafiose siciliane finalizzato a gestire questi traffici. Sempre secondo Middle East Eye, il contrabbando petrolifero ha sottratto nel 2016 alle casse libiche all’incirca mezzo miliardo di dinari, l’equivalente di 360 milioni di dollari. Un business preoccupante, se si considera che l’industria degli idrocarburi genera la quasi totalità delle entrate dello Stato libico. Nel Paese africano si producono oggi 715mila barili di greggio al giorno, contro gli 1,6 milioni del periodo di Gheddafi e la benzina è compresa in un paniere di beni essenziali che lo Stato sovvenziona per mantenere basso il costo della vita. Grazie a questo finanziamento a fondo perduto, il prezzo alla pompa si aggira – secondo le stime più recenti- sui 34 centesimi di dollaro, contro i 74 centesimi del Ciad, i 77 della Tunisia e gli 1,46 dollari di Malta.

Sulla benzina avviata al mercato nero, i trafficanti in sostanza incamerano margini assai consistenti. Nonostante una fonte molto qualificata ci dica che «non sono le sovvenzioni la causa o l’oggetto del contrabbando», a essere danneggiati sono comunque lo Stato libico e la sua compagnia per gli idrocarburi, la Noe. Presieduta da Mustafa Sanallah, la National Oil Corporation è la sola entità autorizzata dall’Onu a produrre e ad esportare petrolio e la sola azienda a disporre di una direzione unica per tutta la Libia in un Paese sempre più frantumato a livello sociale e politico, con ampie zone fuori controllo.

Base Tripolitiana
I traffici illegali partono da Sabrata e da Zuara, città della Tripolitania situate in successione lungo la costa che da Tripoli si snoda fino al confine con la Tunisia. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, il cui più recente rapporto al Consiglio di sicurezza risale al 2016, ha individuato i nomi di alcuni trafficanti, le loro società di comodo, le navi, i loro spostamenti. Le navi, dai nomi fantasiosi, sostano di solito fuori del porto e ricevono il carico da altre imbarcazioni che fanno la spola con la terraferma. Una di queste, la Ruta di nazionalità ucraina, è stata bloccata dalla Guardia costiera libica proprio alla fine di aprile, dopo una sparatoria, mentre navigava al largo di Tripoli. Proveniente da un porto della Turchia, stava dirigendosi a Malta ed era seguita da un’altra imbarcazione, la Starck, registrata nella Repubblica Democratica del Congo.

La Ruta, su cui già gravava il sospetto di aver contrabbandato petrolio da Zuara, risultava posseduta fino a poco tempo fa dalla Petro Plus limited, società riconducibile – secondo l’Onu – all’oil trader maltese Rodrick Grech. Stando al Wall Street Journal, il 16 febbraio 2016 la nave ha scaricato prodotti petroliferi nel porto di Augusta, proprio dove stazionano le navi della marina militare utilizzate per contrastare l’immigrazione clandestina. Il nome di Grech è associato a una vicenda del 2015 sfociata nel sequestro della Mechanik Chebotarev. Noleggiata dalla 360 Marine trading limited, società maltese di cui Grech è considerato “persona di riferimento”, la nave è stata bloccata mentre navigava tra Zuara, Tripoli e Misurata. Dai dati forniti dalla Federazione Russa è emerso che era salpata dal porto russo di Kavkaz (tra il Mar D’Azov e il Mar Nero) per quello turco di Izmir, ma che a un certo punto aveva deviato verso la Libia. Il procuratore di Misurata ha tuttavia potuto avviare solo un’inchiesta per violazione delle acque territoriali e non anche per contrabbando, perché la nave, quando è stata bloccata, non aveva ancora imbarcato il carico. L’Onu ha raccolto elementi indiziari soprattutto nell’area di Zuara, dove affluisce il carburante prodotto dalla raffineria di Zawiya, che riceve attraverso un oleodotto il greggio estratto dal giacimento di El Sharara. Una parte importante del prodotto raffinato a Zawiya, che serve anche da centro di stoccaggio di prodotti importati dall’estero, è trasferita a gruppi di contrabbandieri che lo fanno arrivare in Europa: il resto è distribuito localmente.

L’epicentro del contrabbando è stato individuato in un tratto di mare a Sud di Malta, a una distanza di 40-60 miglia dalla costa libica. I trafficanti viaggiano a trasmettitori spenti per non essere intercettati dalla Guardia costiera e dai mezzi di pattugliamento. Giunti in mare aperto, pompano il carico nella stiva di navi cisterna che lo trasportano fino al limite delle acque maltesi, dove ci sono ad attenderle delle bettoline che fanno avanti e indietro dalla costa. Da Malta alla Sicilia il viaggio è breve, anche se può riservare qualche spiacevole inconveniente. È questo il caso della Sovereign M, battente anch’essa bandiera maltese, sequestrata a Zuara nel dicembre 2015 e successivamente trasferita nel porto di Tripoli. Nel luglio di quell’anno la nave aveva consegnato 250mila tonnellate di gasolio alla Pinta Zottolo di Mazara del Vallo, società siciliana di carburanti, lubrificanti e affini che, interpellata dall’Espresso, ha dichiarato tramite il proprio legale di avere agito in buona fede, servendosi di un intermediario di cui non ha voluto rivelare il nome. Giunta a Mazara, la Sovereign M è stata tuttavia bloccata dalla Capitaneria di porto perché, pur trattandosi di un mercantile, era registrata come rimorchiatore d’altura e non rispettava le procedure di sicurezza per le merci pericolose previste dalle norme di navigazione. I militari, insieme agli uomini della Guardia costiera di Trapani sono saliti a bordo per un’ispezione, ma l’ostacolo è stato in qualche modo rimosso o aggirato, perché la nave è riuscita a scaricare e a ripartire. L’autorità libica, poi, ha appurato che la Sovereign M ha trasportato nel corso del tempo anche carburante prodotto nella raffineria di Zawiya e che l’armatore della nave è la società maltese Patron Group Limited, di cui sono amministratori due cittadini del piccolo Stato insulare dell’Unione europea: John Farrugia e Silvio Buttigieg. Ancora una volta, la chiave di tutto è a Malta dove i trafficanti, probabilmente, godono di complicità forse all’interno della stessa comunità libica che ha trovato rifugio nell’isola.

I re del malaffare
A tirare le fila del contrabbando a Zuara è Fahmi Bin Khalifah, noto anche come Fahmi Slim, già incarcerato per traffico di stupefacenti sotto il regime di Gheddafì. Bin Khalifah, il cui avvocato respinge l’accusa di contrabbando, è a capo di una milizia ed è presente in due società che hanno suscitato l’interesse degli esperti dell’Onu. La prima è la Adj trading limited di Malta, di cui il libico è socio insieme al maltese Darren Debono e all’egiziano Ahmed Ibrahim Hassan Arafa. La seconda, di cui Bin Khalifah è presidente, la Tiuboda oil and gas services limited, è invece domiciliata in Libia, anche se ha gli occhi puntati su Malta. La Tiuboda ha infatti cercato invano di ottenere una licenza per importare a La Valletta carburante proveniente dalla Libia.

Per le sue presunte attività di contrabbando, la Adj trading utilizza due navi, la Basbosa Star e l’Amazigh F. Questa nel dicembre 2015 ha cambiato nome in Sea master x e batte bandiera di Palau, stato del Pacifico con 21mila abitanti. Il suo nuovo proprietario è la Sea N 10 company limited, una società delle isole Marshall, in Oceania. La Basbosa Star e la Amazigh F sono state intercettate in più occasioni sia vicino alla costa libica, sia al confine delle acque territoriali maltesi e sono state affiancate in diverse date da altre due navi che, con la tecnica tipica dei contrabbandieri, si presume fossero li per trasbordare il carico. Una di queste, la Solia, è stata avvistata prima in prossimità di Zuara, poi nel raggio di dodici miglia dalla costa maltese. E maltese è anche la società proprietaria dell’altra nave, la Bonu 5. Si chiama Andrea Martina limited e ha per socio il solito Debono: è la prova di quanto sia stretto il suo legame con Bin Khalifah e di quanto conti avere una solida base di riferimento a Malta. Ancora un’altra nave sospetta, la Sun I, originariamente di nazionalità romena, poi ceduta alla società maltese Btz Valletta Company Limited, è stata sequestrata a Tripoli all’inizio del 2015, dopo avere accusato problemi meccanici e aver fatto una chiamata d’emergenza. La Sun Oil 1, che batteva bandiera della Moldavia, navigava nel solito triangolo del contrabbando tra Malta, le acque libiche e il Sud Italia. E nel dicembre 2014, mentre si trovava in prossimità di Zuara, ha spento il trasmettitore ed è sparita dai sistemi di tracciamento per ventisei giorni.

Il ruolo degli italiani
II gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha appurato che la Btz Valletta company è posseduta dalla Btz holding international limited la quale ha avuto come direttori due italiani, Andrea D’Aloja e Alberto Tabone. D’Aloja è stato arrestato, nel luglio del 2015, nella Repubblica Dominicana, nel corso delle indagini della Procura di Roma su Mafia Capitale. D’Aloja era stato accusato di avere truffato la marina militare di Augusta, in Sicilia, con false forniture di gasolio che avrebbe dovuto essere importato da Malta con navi libiche. La notizia del suo arresto aveva allarmato le autorità nordafricane, che in quel nome si erano imbattute durante il sequestro della Sun Oil 1. Anche se i quantitativi di carburante contrabbandati dalla Libia sono ancora modesti rispetto all’ampiezza del mercato italiano, ci si trova comunque davanti a un fenomeno ben ramificato che, senza un’adeguata azione repressiva, rischia di espandersi e diventare ancora più rilevante. Non è un caso che la Noe nell’ultimo anno si sia spesa con grande forza per arginare il contrabbando. Una fonte in contatto con i principali centri della Libia, che non vuole essere citata, ci spiega come il Paese abbia accresciuto la propria capacità di controllare i trafficanti. Nonostante questo , le misure introdotte non sono ancora sufficienti: «II problema resta maledettamente serio», spiega la fonte «perché il petrolio e i suoi derivati sono l’unico mezzo di sostentamento su cui può contare lo Stato». Per Fayez al Sarraj, capo del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale, la lotta contro i traffici clandestini di prodotti petroliferi resta una priorità. La dimostrazione si è avuta a gennaio, con la visita a Tripoli di Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo Gentiloni. In quella circostanza, al Sarraj, in cambio del suo impegno a combattere il traffico di migranti verso l’Italia, ha chiesto un impegno altrettanto deciso da parte dell’Italia a collaborare all’azione di contrasto dei traffici di petrolio. E la questione sembra stia a cuore anche al generale Khalifa Haftar che, al comando di un esercito di trentamila uomini che risponde alla Camera di Tobruch, controlla militarmente la Cirenaica. Almeno su questo, fra Tripoli e Tobruch, non dovrebbero esserci spaccature.

Fonte: L’Espresso